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Orgasmo clitorideo o vaginale?

Dopo lunghi secoli di censura o di totale disinteresse al corpo femminile la scienza e la psicologia, a partire dall’età moderna, hanno iniziato ad interessarsi e a studiare l’esperienza erotica femminile sperimentando approcci e metodi molto differenti.

Partendo dalla psicoanalisi si è iniziato ad investigare e a cercare risposte sul piacere femminile che, a causa della secolare repressione verso le donne e per la naturale forma nascosta degli organi genitali, appariva agli studiosi maschi cisgender un vero e proprio enigma.

Il corpo femminile è stato così “scoperto” e colonizzato dai cognomi dei vari scienziati che di volta in volta approfondivano un suo aspetto: ne sono un esempio il fantomatico “punto G” dal nome del ginecologo Ernst Gräfenberg o le “ghiandole di Skene” dal cognome del ginecologo scozzese.

Il piacere femminile analizzato e teorizzato per molto tempo da occhi maschili che escludevano la narrazione delle donne stesse ha portato alla costruzione di numerosi falsi miti legati alla sessualità femminile. 

La lunga diatriba tra orgasmo clitorideo e vaginale trova le sue origini in questo contesto, provocando ancora oggi confusione nelle donne su come descrivere la personale esperienza orgasmica e sul giudizio che hanno di questa.

Dovendola interpretare con strumenti limitati quali un’idea dei propri genitali frammentata e in un clima sociale giudicante e poco propenso ad incentivare la masturbazione e la sperimentazione del proprio piacere sessuale, molte donne lamentano poca conoscenza di sé e del proprio piacere.

Questo venne anche confermato dagli studi di Margaret Mead che evidenziarono che se le donne vivono in culture favorevoli al piacere femminile hanno più opportunità di conoscere l’orgasmo mentre quelle che vivono in culture che ostacolano la sessualità e il desiderio, colpevolizzando il piacere, raramente hanno orgasmi o persino l’idea che essi possano esistere. 

Il lavoro di narrazione e condivisione femminile, nato a partire dai primi gruppi di autocoscienza femministi, ha stimolato il superamento dei tanti pregiudizi e tabù, restituendo un’idea del piacere femminile poliedrica, appagante e decisamente libera da errate gerarchie.

Facciamo chiarezza! Nei genitali femminili abbiamo: la vagina (dal latino guaina, fodero) ovvero il canale dell’apparato genitale che unisce il collo dell’utero alla vulva e la clitoride, organo erettile femminile ricco di terminazioni nervose che ha come compito la percezione. 

La parte visibile della clitorite (glande) è posta in cima alla vulva, dove si congiungono le piccole labbra mentre il resto della struttura anatomica clitoridea è prevalentemente interna. È composta da tre cavità: due radici (crura) che si estendono in profondità nel tessuto della vulva e i bulbi del vestibolo che sono all’imboccatura della vagina. 

Sigmund Freud è stato il primo a studiare e a distinguere due tipi di orgasmo femminile dandogli due significati molto differenti: quello clitorideo veniva considerato un orgasmo “nevrotico” ed acerbo, tipico di personalità immature, mentre quello vaginale era invece il solo orgasmo possibile e appartenente ad una sessualità adulta, questo basandosi sull’idea che la fusione tra maschio e femmina fosse la sola forma di sesso sano. Nel caso in cui una donna non raggiungeva orgasmi derivanti dalla penetrazione c’era il rischio di soffrire di un disturbo: la “frigidità”.

Il ginecologo William Masters e la sua collega di ricerca Virginia E. Johnson, negli anni ’50, promossero una serie di esperimenti ed osservazioni sulla sessualità umana e il piacere sessuale, durati per circa undici anni, che coinvolsero donne e coppie. Tra le tante scoperte che restituirono alla comunità scientifica ci fu la sensazionale notizia che il piacere e l’orgasmo femminile erano invece statisticamente molto collegati alla stimolazione della clitoride.

Nel 1970, l’attivista americana Anne Koedt pubblicò il saggio “Il mito dell’orgasmo vaginale”, in cui demoliva le tesi di Freud e separava per la prima volta il concetto di sessualità da quello di riproduzione, sostenendo che l’orgasmo clitorideo era stato tanto osteggiato perché rappresentava un piacere femminile più autonomo e sconosciuto per gli uomini e che toglieva la centralità della figura maschile dal piacere delle donne.

Qualcosa di simile fece in Italia la femminista Carla Lonzi: nel 1971 pubblicò “La donna vaginale e la donna clitoridea” dove, sviluppando un’analisi politica della questione, arrivava a distinguere simbolicamente due tipi di donne, quella vaginale (ovvero addomesticata e schiava del piacere maschile e della procreazione) e quella clitoridea (cioè donna libera e consapevole).

Ad oggi, nella realtà clinica, non esistono più tali distinzioni: è differente solo il tipo di stimolazione che si attua per raggiungere l’orgasmo. 

La zona clitoridea è fortemente innervata e pertanto procura un orgasmo intenso, più localizzato ed immediato. L’orgasmo detto vaginale invece si riesce a raggiungere con l’aiuto di una penetrazione, è più prolungato e percepito in maniera più diffusa inoltre prevede ugualmente un coinvolgimento indiretto della zona clitoridea a seconda delle posizioni adottate o grazie alla contrazione delle fasce muscolari circostanti. 

È importante ricordare il fatto che una donna può provare l’orgasmo da sola o con partner anche senza la stimolazione diretta della clitoride o delle pareti vaginali. Certamente ci sono zone erogene privilegiate come il seno ma tutto il corpo può essere fonte di piacere intenso se correttamente stimolato, in presenza di consenso e del contesto giusto.

Fonti:

“Come as you are” Emily Nagoski

“Le ragazze stanno bene” Giulia Cuter, Giulia Perona

“Il segreto delle donne” di Elisa Brune-Yves Ferroul

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