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World Eggs Day: come orientarsi tra tipo di allevamento, certificazioni, sostenibilità ambientale e benessere animale

La Giornata mondiale dell’uovo è stata istituita a Vienna 1996, quando si è deciso di celebrare il potere dell’uovo il secondo venerdì di ottobre di ogni anno. Da allora, lз fan delle uova di tutto il mondo hanno escogitato nuovi modi creativi per onorare questo incredibile concentrato di nutrienti, e il giorno della celebrazione è cresciuto e si è evoluto nel tempo.

Ogni italianə mangia in media 214 uova all’anno, considerando quelle consumate direttamente in casa e quelle utilizzate dall’industria alimentare (che pesano per il 40% sui consumi pro capite). 

Scegliere quali comprare può essere complicato, perché lo scaffale del supermercato propone numerose tipologie. Una volta contavano molto le dimensioni, e il prezzo era correlato a questo aspetto. Adesso viene messo in risalto soprattutto il tipo di allevamento, le certificazioni relative alla sostenibilità, all’assenza di Ogm e all’uso di antibiotici sulle galline durante l’allevamento. 

Le rilevazioni dell’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) indicano che nel 2018 la spesa dз italiani per le uova è aumentata del 15% rispetto all’anno precedente, mentre la quantità acquistata è aumentata solo dell’1,7%. Quindi abbiamo comprato uova più costose e questo perché siamo sempre più attentз a valori come la sostenibilità ambientale e il benessere animale. In questi anni sono crollate le vendite di uova da galline in gabbia, mentre sono cresciute con incrementi a due cifre quelle biologiche (+12% in volume nel 2018), e quelle di galline allevate a terra (+ 28%) o all’aperto (+ 25%).

Vediamo quali sono le differenze. Le galline in gabbia vivono su un pavimento costituito da una griglia e hanno a disposizione almeno 750 cm2 a testa, poco più di un foglio A4. Le gabbie sono “arricchite” con posatoi o altre strutture, che dovrebbero permettere agli animali di mettere in atto i comportamenti propri della loro specie. Questo tipo di allevamento – che in Italia rappresenta il 65% circa del settore – è indubbiamente quello meno rispettoso del benessere animale.

Le galline allevate a terra – tipologia preponderante nelle uova vendute al supermercato – vivono all’interno di capannoni, con una densità massima di nove galline per metro quadro. Hanno una certa libertà di movimento e possono esprimere comportamenti naturali, come fare brevi voli o becchettare la lettiera. Anche le galline allevate all’aperto passano buona parte del loro tempo in capannoni come quelli di cui abbiamo appena parlato, la differenza è che hanno accesso a uno spazio esterno con un’estensione pari ad almeno 4 m2 per ogni animale. Il disciplinare biologico, infine, è quello più a misura di animale, perché la densità nel capannone prevede al massimo sei galline per metro quadro, e uno spazio esterno di almeno 4 m2 per gallina. Il mangime deve essere prodotto secondo il disciplinare bio e il numero di capi complessivo inferiore a 3.000. Gli ultimi due sistemi sono quelli che permettono alle galline comportamenti naturali, come uscire all’aperto e raccogliere insetti e vermi nell’erba.

Al supermercato, le uova più economiche costano da 0,12 a 0,20 € al pezzo, per quelle da galline allevate a terra il listino oscilla da 0,25 a 0,30, se sono allevate all’aperto 0,30-0,35, mentre per le  biologiche varia da 0,35 a 0,40. Le uova da galline in gabbia costano meno alla produzione, per questo sono prevalentemente destinate all’industria. Quando andiamo al supermercato, però non è detto che le uova meno costose siano da galline in gabbia, perché il prezzo di vendita dipende da tanti fattori, fra cui le politiche delle catene.

(da il Fatto Alimentare)

Abbiamo quindi compreso che già oggi ogni uovo posto in commercio riporta sul guscio un codice alfanumerico che fornisce molte informazioni.

Il primo numero che si incontra individua la tipologia di allevamento. 

Segue poi una sigla per indicare il paese di provenienza. IT, come intuibile, sta per provenienza italiana e sono la maggior parte, visto che la produzione italiana, 12,6 miliardi di uova per anno, è quasi sufficiente a soddisfare le esigenze del consumo interno.

Poi un’altra serie di numeri e lettere individuano il comune e la provincia di provenienza e persino l’allevamento di deposizione.

Oggi tutte queste informazioni, non sempre di immediata comprensione se non si conosce come decifrarle, vengono apposte nei centri di imballaggio.

Si tratta dei luoghi dove le uova confluiscono per essere calibrate e confezionate per giungere sui mercati di destinazione.

Alcune mozioni presentate alla Camera dei deputati vorrebbero modificare sia la tipologia della timbratura, per renderla più “trasparente”, sia il luogo dove viene apposta.

Non più i centri di imballaggio, dove si teme possano avvenire “scambi” di provenienza, ma direttamente negli allevamenti di deposizione.

Si otterrebbe, questo l’obiettivo, una maggiore garanzia su origine e caratteristiche delle uova.

Fra le modifiche suggerite, anche l’abolizione della deroga oggi concessa alla timbratura delle uova destinate alla lavorazione industriale.

Cancellare questa possibilità consentirà di evitare che siano erroneamente marchiate uova destinate alla trasformazione invece che al consumo diretto.

Speriamo che questo articolo ti sia stato utile per comprendere a fondo come orientarti d’ora in poi quando dovrai acquistare delle uova. Presta attenzione e ricorda che dietro i codici impressi sui prodotti ci sono significati ben precisi!

Fonti:

  • Il fatto alimentare
  • dir. 1999/74/CE
  • dir. 1999/74/CE

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