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Saldi e Fast Fashion: Ne vale davvero la pena? Disponibilità immediata vs sfruttamento incessante: parliamone!

Se da un lato i saldi, tra cui il Black Friday, aumentano le vendite e sollevano il mercato economico, quello che c’è dietro non è per niente lodevole né sostenibile. Il concetto di fast fashion, oltre a simboleggiare la disponibilità imminente degli ultimi capi di tendenza, corrisponde ad un sistema di produzione incessante. Si stima che rispetto agli inizi del 2000, nel 2014 si sono acquistati a livello globale il 60% di abiti in più ma inversamente la durata della loro vita si è dimezzata. Per sostenere l’aumentata domanda, quasi tutti i brand di abbigliamento hanno trasferito la loro produzione in paesi poveri o, come vengono definiti, in via di sviluppo. Tuttavia, nonostante queste filiali abbiano creato nuovi posti di lavoro per la popolazione locale, in paesi come la Thailandia e il Vietnam le condizioni di lavoro sono estreme. Nel creare i capi che verranno poi spediti nei paesi occidentali vengono prodotte sostanze tossiche che finiscono nell’aria e nell’acqua. Lз lavoratorз sono pagati pochissimo, per non parlare dello sfruttamento minorile. Infatti, non conoscendo i propri diritti e neanche un’alternativa di lavoro, le persone locali non possono fare altro che affidarsi alle grandi compagnie. Di recente però lз lavoratorз tessili del Bangladesh hanno deciso di protestare, perché i progressi avvenuti dopo la sindacalizzazione del settore non sono stati sufficienti, soprattutto dopo la tragedia del Rana Plaza del 2013, una fabbrica tessile crollata a Dhaka che uccise più di 1.100 lavoratorз. Il salario medio attuale è di 70 euro al mese per una donna assunta in una grande compagnia di abbigliamento, motivo per cui gli scioperi hanno invaso le piazze e portato alla chiusura di diverse fabbriche per giorni. Tuttavia, le repressioni sono state violente e c’è ancora molta strada da fare prima di riuscire a rispettare i diritti deз lavoratorз di questi paesi.

Tuttavia, oltre al mancato rispetto dei diritti umani, le catene di fast fashion contribuiscono enormemente all’inquinamento ambientale. Lo shopping online, accompagnato dalle consegne lampo e la difficoltà nel riciclare, soprattutto i tessuti sintetici, ci stanno rendendo colpevoli del cambiamento climatico che già è in corso. L’acrilico è infatti responsabile del rilascio di quasi 730mila microplastiche per lavaggio, cinque volte di più rispetto a un tessuto misto poliestere-cotone e quasi una volta e mezzo rispetto al poliestere puro. Inoltre, nel periodo natalizio inquiniamo di più: le emissioni di CO2 salgono del 6%, vengono utilizzate 125mila tonnellate di plastica e l’8% dei regali fatti e ricevuti finisce in discarica perché indesiderato. I capi di abbigliamento rientrano tra i regali più gettonati per il Natale, ma allo stesso tempo tra quelli meno apprezzati, e successivamente cestinati. Altri consumi consistono in abiti nuovi da indossare durante le feste e che poi difficilmente arriveranno ad essere indossati almeno tre volte. Tuttavia, direttamente collegato al cambiamento climatico, uno studio del British Retail Consortium ha messo in luce come gli sbalzi di temperature possano determinare alterazioni nelle vendite di abbigliamento in negativo. Seguendo quello che dicono i nostri nonni, ovvero che ‘non esistono più le mezze stagioni’, i vari brand di abbigliamento dovranno elaborare delle nuove strategie come la produzione di capi meno pesanti o la posticipazione dei saldi invernali.

Eccitatз da promozioni e pubblicità che acclamano grandi svendite, molte persone vengono prese dal momento e si recano al centro commerciale più vicino, o semplicemente navigano nei siti web. Gli esperti di marketing ne sono al corrente e puntano sulle nostre emozioni per farci comprare di più, e inquinare l’ambiente. Inoltre, da tenere presente è che sia veicoli privati sia corrieri per il trasporto dello shopping online contribuiscono ad aumentare l’inquinamento atmosferico più del solito. Ed è proprio la Generazione Z, quella più digitale e la più elogiata per essere ‘green’, che cade nella trappola del consumo. I social media sono un’ottima piattaforma per il marketing. Basti pensare a tutti i video di TikTok dove vengono mostrati i grandi acquisti per poi chiedere: keep or return? Oltre ad essere essi stessi causa di spreco, inducono lз followers a comprare l’ultimo trend, anche se non necessario. Inoltre, gli sconti traggono in inganno, quello che viene esposto non ha veramente un prezzo dimezzato, anzi spesso è lo stesso della settimana prima, ma camuffato da grande offerta. Per non parlare del fatto che con i saldi e lo shopping online, tra il 15 e il 30% della merce viene rispedita indietro. Tutto questo processo, oltre ad essere già di per sé uno spreco, fa sì che i prodotti vengano inceneriti senza neanche essere stati usati. Infatti, i costi di rivalutazione e ri-confezionamento da parte delə venditorə sono spesso troppo alti per poter rivendere l’oggetto restituito. Infine, tutti i capi di abbigliamento che a fine stagione rimangono sullo scaffale e non  vengono nemmeno (s)venduti durante i saldi, passano direttamente alla discarica. Questa è la fine di ben l’85% dei tessili prodotti durante un solo anno. 

Perché non donare i capi di abbigliamento che non piacciono più  invece di buttarli? Anche in questo caso, non si conosce bene il ciclo di vita di un capo di vestiario. Secondo delle indagini, alcune riportate da “La Repubblica”, gli abiti che doniamo e crediamo finiscano nelle mani di persone bisognose in realtà finiscono quasi tutti in centri di raccolta. Infatti, negozi di seconda mano come Humana Vintage e altri ricavano i loro prodotti proprio da questi centri. A meno che la condizione sia perfetta, tutti quei vestiti che scartiamo diventano un ammasso di tessuti, tanti sintetici e non riciclabili, che prima vengono riutilizzati per ricavarne un introito dalle aziende a cui viene affidato un ‘cassonetto giallo’ e solo alla fine arrivano in paesi poveri, ma come stracci, non più utilizzabili. Pertanto bisogna pensare all’impatto che può avere una scelta piccola come comprare una maglietta carina perché è scontata. Piuttosto che comprare in quantità, bisognerebbe premiare la qualità, comprando qualcosa che ha un prezzo più alto ma è stato prodotto in modo più sostenibile. Oppure, navigare nei negozi dell’usato fino a trovare il pezzo unico da aggiungere al proprio armadio, che non finisca in discarica dopo averlo indossato tre volte. Trova il tuo stile, prediligi la qualità dei materiali, e aiuta il mondo!

Fonti

https://www.elle.com/it/moda/ultime-notizie/a44018803/gen-z-fast-fashion-shein-temu/

https://www.lifegate.it/black-friday-ambiente

http://dspace.unive.it/handle/10579/17547

https://www.internazionale.it/ultime-notizie/2023/11/02/bangladesh-proteste-sciopero-industra-tessile

https://www.lifegate.it/inquinamento-natale

https://www.lifegate.it/saldi-riscaldamento-globale

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