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Cultura della dieta

Fin da piccol* ci insegnano che dobbiamo fare attenzione a quanti zuccheri, calorie, carboidrati e grassi assumiamo.

Oggi veniamo mess* a dieta già dall’età di 10 anni, in nome di quelli che sono la salute ed uno “stile di vita sano”.

La cultura della dieta permea la nostra società, e noi la respiriamo quotidianamente. 

Ci sono moltissime variabili che influenzano il nostro modo di approcciarci al cibo. Ci sono differenze di status sociale ed economico che ci portiamo dietro dalla nascita (città in cui si vive, reddito familiare etc) che dobbiamo imparare a riconoscere, non tanto per sentirci in colpa, quanto piuttosto perché il riuscire a vederle ci permette di osservare il mondo con un paio di lenti diverse.

In questo modo possiamo riuscire a comprendere che non tutt* devono necessariamente essere magr* per essere bell*, san* e meritevoli di rispetto.

L’alimentazione infatti, non è una scelta, ma un privilegio. 

L’OMS definisce la salute come “uno stato di completo benessere fisico, sociale e mentale, e non soltanto l’assenza di malattia o di infermità”.

Viene da chiederci se i sensi di colpa, la modifica delle proprie abitudini quotidiane, la mancanza di senso di autoefficacia e di perdita di controllo tipica dei regimi ipocalorici possano rientrare in questa definizione.

Spesso si dice che essere grassi sia un fattore di rischio per lo sviluppo di alcune malattie. Meno spesso si dice invece che il mettersi a dieta è un fattore di rischio per lo sviluppo di un disturbo alimentare. 

Essere immers* nella cultura della dieta significa confrontarci costantemente con il nostro peso e fare paragoni con tutti gli stimoli che provengono dai media, siano essi foto di donne e uomini “in forma” (ovvero magr* e/o muscolos*) o pubblicità di fast food.

Significa trovare libri che spiegano perché alcune diete non funzionano e altre si (spoiler: nessuna dieta funziona).

Un dato: l’industria della dieta vale, negli USA, circa 66 miliardi di dollari. Nel mondo, si stima che ne valga più di 200mila (miliardi).

La salute è un diritto, non un obbligo.

La cultura della dieta ci racconta che i corpi “magri” sono più desiderabili, salutari e di valore. Si attribuisce un valore morale ai cibi distinguendoli in buoni/cattivi e giusti/sbagliati.

Sotto alcune foto di corpi grassi si tende a voler far notare a tutti i costi che si deve stare attenti a “non incitare all’obesità perché è rischioso per la salute”.

Come mai non abbiamo la stessa reazione quando nelle foto ci sono sigarette? Eppure è conclamato che ci sia una correlazione tra fumo e malattie polmonari. 

Postare foto di corpi grassi, propri o altrui, non è incitamento all’obesità.

Questi corpi esistono. È il vedere che possono avere lo stesso spazio sui social (o nella vita offline) che dà fastidio.

La dieta è un privilegio

Non tutt* possono avere accesso economico a cibi sani, biologici e ricercati.
Non tutt* possono permettersi un’ora di cardio al giorno, né di andare in palestra (per motivi economici o di tempo).
Non tutt* possono permettersi di prepararsi i pasti a causa dei ritmi di lavoro (si ripiega quindi su cibi preconfezionati) né pagarsi un* nutrizionista/dietista che possa seguirl* nel loro percorso. 

Non tutt* possono permettersi di dormire adeguatamente (ad esempio se si hanno figl*, un lavoro su turni o se si deve accudire una persona anziana/malata).

Ecco perché la dieta è un ottimo esempio di privilegio.

L’idea alla base della cultura della dieta è che il nostro corpo non sia in grado di autoregolarsi se non lo teniamo sotto controllo. Il peso però non è il prodotto di una serie di errori. Il nostro corpo sa di cosa ha bisogno e ce lo fa capire attraverso diversi segnali. 

Stare bene con se stess* non dovrebbe dipendere da cosa mangiamo. Questa idea ci viene promossa dalla cultura della dieta, che associa l’idea di salute a quella di magrezza (“sei quello che mangi”).

Questo può portare la persona a pensare di non avere controllo e a diminuire il proprio senso di autoefficacia.

Ci sono numerosi effetti psico-biologici della restrizione calorica.

  • Rituali alimentari
  • Incremento di consumo di caffè, acqua, sigarette e gomme da masticare
  • Disturbi del sonno
  • Vertigini e debolezza
  • Disturbi gastrointestinali
  • Cefalea
  • Riduzione della frequenza cardiaca e respiratoria
  • Ridotte capacità di concentrazione
  • Scarsa capacità di giudizio critico
  • Sbalzi e tono dell’umore
  • Riduzione del desiderio sessuale

Ma cosa significa quindi essere “normopeso”?

Peso “normale” non significa peso “ideale”. Piuttosto, il concetto di normalità in statistica è utilizzato per evidenziare il dato più diffuso. L’accezione con cui dobbiamo guardare la parola quindi è quella statistica. Il fatto che sia più diffuso, non significa che sia giusto e non modificabile.

Il peso “ideale” è definito come l’indice di massa corporea (rapporto tra peso e altezza al quadrato) corrispondente a valori che vanno da 22 a 24 kg per metri quadrati.

Il primo a parlare di “peso ideale” non fu un* medic* però, bensì un astronomo.

Questo concetto è diventato famoso poi nel 1960.

In questo periodo, 25 compagnie assicurative americane hanno promosso uno studio su 4 milioni di soggetti. È stato evidenziato che coloro che avevano un IMC basso, avevano una minore probabilità di sviluppare alcune patologie (probabilità e non causalità).

Nel 1960, avere un IMC basso significava pagare meno la propria assicurazione (e viceversa).

Adesso dobbiamo introdurre un nuovo concetto: il weight bias

In letteratura esiste quello che viene chiamato weight bias, ovvero un pregiudizio che, proprio in virtù dell’idea che essere grass* significhi non essere san*, impedisce ad espert* tra cui medic* e altre figure professionali, di fornire alle persone le migliori cure mediche possibili.

Spesso, la prima cosa che viene detta ad una persona grassa, a prescindere dalla richiesta del paziente, è che deve perdere peso.

Si riconduce in questo modo il malessere del* singol* al problema del peso, arrivando a tralasciare analisi e controlli specifici.

Ricordiamoci che la dieta è un fattore di rischio

Il continuo perdere e riprendere peso depriva l’organismo di energie. Ha effetti collaterali anche a livello biologico. Ad esempio, il calcio nelle nostre ossa diminuisce e il nostro stato di salute peggiora.

Abbiamo sensi di colpa, crediamo di non avere capacità di controllo e abbiamo scarsa autoefficacia (ovvero la percezione di sapere di essere in grado di fare, sentire, esprimere, essere o divenire qualcosa).

Essere a dieta è uno dei maggiori fattori di rischio per lo sviluppo dei disturbi alimentari.

Essere a dieta porta ad un peggioramento dello stato di salute fisico e psicologico. 

Insomma, non si può dedurre lo stato di salute di una persona sulla base del suo peso. 

FONTI

Dott. Valtucci e Russo – Dietisti, dott. in S. T. Psicologiche e specialisti in disturbi alimentari (@oltreladieta)

Palinsesto Femminista – Ep. 17 (Spotify)

Size acceptance and intuitive eating improve health for obese, female chronic dieters – Bacon et al. 2005

The biology of human starvation – Keys et al., 1950

The U.S. Weight Loss & Diet Control Market: https://www.marketresearch.com/Marketdata-Enterprises-Inc-v416/Weight-Loss-Diet-Control-10825677/

Veronica Bignetti – Dietista (@dietista_veronica_bignetti)

Weight Bias, a call to action: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5100338/

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