La situazione, nel continente africano, risulta completamente disomogenea: alcuni Paesi sono molto avanti rispetto ai diritti delle donne, altri molto indietro.
Secondo le statistiche fornite dalle Nazioni Unite, in campo lavorativo, solo il 5% dei manager africani è di sesso femminile; solo il 50% delle donne in età lavorativa ha un’occupazione (contro il 77% degli uomini).
Anche in campo politico si registra ancora una sostanziale emarginazione: soltanto il 25% dei parlamentari africani è donna.
In Senegal, ad esempio, le donne possono lavorare e guadagnare, seppur in maniera discreta, a differenza di altri Paesi in cui questo è vietato.
Invece, nella Carta costituzionale ghanese si leggono pari diritti per donne e uomini. Nella realtà, questi diritti si affievoliscono sempre di più uscendo dalle città e addentrandosi nei villaggi, dove possiamo trovare mamme con circa 5 figli a testa e con un’età media di 20 anni, costrette a rimanere a casa con i bambini, senza possibilità di crescere e lavorare.
La condizione femminile in Africa non è riassumibile per grandi settori. Non si può affermare, come fanno molti, che in Africa subsahariana le donne siano più rispettate rispetto alle donne dell’Africa centrale (dove queste ultime devono giornalmente lottare per ottenere i diritti fondamentali).
2018, Senegal ed Etiopia e i diritti delle donne
Le prime conquiste sono arrivate già nel 2018: Dakar, ha visto il primo sindaco donna nella persona di Soham El Wardini. Dopo Soham, nello stesso anno, il nome di Sahle-Work Zewde imperversò su tutti i giornali internazionali, come prima donna presidente dell’Etiopia e unico capo di Stato donna in carica in tutto il continente africano.
Chi è Sahle-Work Zewde
Nata nella capitale Addis Abeba, Sahle-Work ha studiato in Francia e parla correntemente inglese, francese e amarico, la lingua principale dell’Etiopia. È stata a capo dell’ufficio delle Nazioni Unite in Kenya e ha fatto da ambasciatore dell’Etiopia in diversi paesi.
- Maggio 2020, Sudan: il governo del Sudan ha vietato le mutilazioni genitali femminili (Mgf), cioè tutte quelle pratiche in cui gli attributi genitali femminili esterni sono parzialmente o totalmente rimossi per motivi culturali, causando grandi sofferenze fisiche e psicologiche.
Nel Paese, queste pratiche sono molto diffuse.
Le Nazioni Unite stimano che nove ragazze su dieci in Sudan siano state sottoposte all’asportazione dei genitali femminili esterni. E i diritti delle donne?
- Settembre 2020, Afghanistan: con l’arrivo dei Talebani nel 1996, le donne afghane erano state private di tutti i diritti raggiunti in anni di battaglie. Unite sotto l’hashtag #whereismyname le donne afghane hanno combattuto per ottenere il diritto di avere il proprio nome sui loro documenti. Ora, sarà il Parlamento a decidere di approvare l’emendamento con la firma del Presidente.
Se la legge per il riconoscimento dell’identità fosse approvata, le donne afghane non sarebbero più costrette ad essere definite in base al grado di parentela che hanno con un uomo. Per la prima volta il loro nome comparirebbe sulle loro lapidi, al posto di “la figli di”, “la madre di”, “la cugina di”.
La loro identità non verrebbe più omessa nei certificati di nascita dei loro figli e negli inviti di nozze ci sarebbe anche il loro nome.
Insomma, c’è ancora molto lavoro da fare per garantire una maggiore tutela per le donne. Tuttavia, il grande coraggio e la grande forza di volontà di queste donne che lottano ogni giorno, lasciano spazio alla speranza di sempre nuovi miglioramenti.
FONTI
https://www.google.it/amp/s/www.bbc.com/news/amp/world-asia-53436335
N.B. L’autrice del presente articolo (Eleonora Santonocito) non collabora più con Eduxo e per questo, non avendo più un account, questo articolo risulta nel profilo della Presidente dell’associazione.