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MENTI A CALEIDOSCOPIO

 Riflessione sulla neurodivergenza

La neurodivergenza è un argomento che negli ultimi decenni è riuscito a ritagliarsi uno spazio sempre maggiore nella collettività. Per questo, in giornate come il 18 Febbraio (Giornata Internazionale della Sindrome di Asperger), è importante sottolineare sia i progressi svolti nell’ultimo anno rispetto al tema della neurodiversità, ma anche le lacune da colmare.

Innanzitutto è cruciale comprendere il significato di neurodiversità, un termine coniato nel 1998 dalla sociologa Judy Singer che racchiude la naturale variazione tra i cervelli umani. Ognunə di noi infatti, secondo la scienza, possiede un cervello unico e inimitabile, che ci rende neurodiversз. Però, non si può non osservare che la maggior parte delle persone condivide uno sviluppo cerebrale simile, che viene definito nel mondo clinico “tipico”. Il 15-20% della popolazione invece condivide uno sviluppo cerebrale “atipico”, e per questo vengono definite neurodivergenti. 

Questo concetto si sta sempre più diffondendo a livello collettivo, nascendo con l’intento di opporsi all’idea diffusa che uno sviluppo cerebrale atipico sia un difetto. Infatti, soprattutto a livello scolastico e lavorativo succede spesso che le persone neuroatipiche vivano situazioni di disagio ed esclusione dettate dalla disinformazione e dal pregiudizio. Per esempio, nella scuola è necessario lavorare per la creazione un modello educativo inclusivo, per permettere di raggiungere l’equità nello studio per colmare il divario causato dalla segregazione passata tra soggetti neurotipici e neuroatipici.  A livello lavorativo invece, specialmente nella fase di colloquio, sono valutate in maniera positiva principalmente qualità sociali, che spesso sono una delle skill più compromesse in queste. Sarebbe perciò opportuno che lз selezionatorз siano a conoscenza delle qualità dei soggetti neurodivergenti, al fine di poter garantire l’inserimento lavorativo. 

Si può quindi notare che è necessario in maniera sempre più urgente un modello che distrugga l’equazione neurodiversità = disabilità e che ci liberi dalle costrizioni dettate dalla “societa della performance”, che ci influenza fin dalla più tenera età e porta ad un’alta competitività e al far si che i nostri risultati debbano rientrare in aspettative sociali conformate e preimpostate. Per questo motivo, nasce l’idea di neuroinclusione, che promuove la neurodiversità. Nel paradigma della neurodiversità (den Hounting, 2019), la neuroatipicità viene concepita come una naturale variazione del cervello umano, che influisce sulle modalità percettive, comunicative e sociali della persona. Ciò risulta coerente con la prospettiva evoluzionista, basata sull’idea che per permettere a una specie di evolversi e sopravvivere è necessario che vi sia una sufficiente diversità, e nel caso della specie umana una delle manifestazioni più diffuse è la neurodiversità. Il paradigma nasce nei mondi dell’attivismo e della ricerca, che però risultano ancora acerbi soprattutto a causa della grande disinformazione sul tema da parte di professionistз, famiglie e persone neurodivergenti. Per questo motivo, le critiche sul concetto di neurodiversità si basano su falsi miti e interpretazioni errate del movimento e dei suoi obiettivi. 

Le principali critiche sono tre:

  1. L’idea che il paradigma definisca la neurodiversità come una differenza identitaria culturale piuttosto che una disabilità. Al giorno d’oggi per spiegare e analizzare la disabilità viene utilizzato un modello sociale, che sottolinea il gap tra le caratteristiche fisiche/cognitive/comportamentali di una persona e il contesto ambientale in cui è inserita. Perciò, secondo questo modello, una persona viene definita disabile a causa del fallimento dell’ambiente nello soddisfare i suoi bisogni. Per contrastare ciò, è necessario cambiare l’attitudine verso un approccio inclusivo e di accettazione; 
  2. Il fatto che il paradigma si possa applicare solo a persone ad “alto funzionamento”; le altre vengono percepite come “troppo disabili” per essere incluse nel movimento. La conseguenza di questa critica colpisce direttamente la letteratura accademica e il lavoro di ricerca sulle capacità e le potenzialità delle persone neurodivergenti. Per esempio, una persona può eccellere in un’abilità specifica ed essere compromessa in un’altra, oppure un giorno essere più performante rispetto ad un altro. È evidente quindi che ci sia un problema nella categorizzazione tra alto e basso funzionamento, perché semplifica la percezione della disabilità limitandone il supporto nel primo gruppo e negando l’autonomia nel secondo;
  3. L’assunzione generale secondo la quale le persone neurodivergenti non necessitino di supporto perché la neurodiversità è concepita come una “variazione normale e naturale”. La conseguenza principale è l’eliminazione dei tratti autistici come priorità nell’intervento, con un conseguente focus sulla riduzione delle caratteristiche fondamentali delle neurodivergenze. Ciò rappresenta l’opposto di ciò che la comunità neurodivergente richiede: essa vuole in primo luogo dei servizi che migliorino la qualità di vita dei soggetti, preservandone la loro persona.

Possiamo quindi concludere che la neurodivergenza rappresenta, al giorno d’oggi, una possibilità ancora ignota ai più. Molte persone neurodivergenti per esempio hanno qualità e talenti unici. Sarebbe ipocrita però non considerare gli aspetti negativi che possono essere vissuti dai soggetti neurodivergenti. È infatti risaputo che essз possano sperimentare maggiori difficoltà a livello relazionale, educativo e personale (per esempio una scarsa autostima). Per questo motivo, è cruciale passare da una prospettiva disease-based, tipica del mondo medico e focalizzata sulle differenze neurologiche, a una bio-psico-sociale, che dia la priorità alle qualità e all’interazione con l’ambiente. Un esempio ambizioso di questo mutamento è quello promosso dallo psicologo Simon Baron-Cohen nel definire l’autismo, il quale al posto di usare “Autism Spectrum Disorder” utilizza “Autism Spectrum Condition” perché secondo lui è una condizione che va presa in considerazione ma che non sottintende nessun danno cerebrale. Un altro aspetto che sarebbe da rivedere è l’istituzione della Giornata Mondiale della Sindrome di Asperger, che può risultare oggi anacronistica, dal momento che dal 2013 l’American Psychiatric Association ha modificato il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) e fatto rimuovere la Sindrome di Asperger inserendola all’interno dello spettro autistico. Potrebbe quindi risultare più coerente spostare le analisi e le riflessioni di questa giornata al 2 Aprile, Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo. 

FONTI 

Den Houting, J. (2019). Neurodiversity: An insider’s perspective. Autism, 23(2), 271-273. 

https://www.erickson.it/it/mondo-erickson/articoli/didattica/che-visione-hanno-di-se-studenti-neurodivergenti/

https://www.sdsc.it/wp-content/uploads/2023/04/08_SDSC_LOra-dellAperitivo_PDF_Bressi_APRILE-2023_corr.pdf

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