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“Ci sono corrotti ovunque volgiate lo sguardo”

Daphne Caruana Galizia

Il 16 ottobre 2017 la giornalista investigativa Daphne Caruana Galizia venne uccisa con un’autobomba a Malta.

Nel corso degli anni era stata minacciata, la porta di casa data alle fiamme, i cani ammazzati. Una volta era stata inseguita da una folla aizzata contro di lei da un politico. Veniva fotografata di nascosto e derisa per il suo aspetto fisico. Veniva chiamata “Daphne, the witch” fin da quando aveva iniziato a scrivere trent’anni prima – “Stanno provando a cuocermi viva”, disse. In un necrologio l’ex Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori – accusato di corruzione e mai perseguito a Malta – la definì “penna avvelenata”. I suoi conti erano stati congelati su richiesta del Ministro dell’economia (secondo lei, il ministro in questione si trovava in un bordello in Germania durante un viaggio di stato ufficiale). Sul suo capo, al momento della morte, pendevano 5 cause penali e 42 civili, ereditate poi dai tre figli e dal marito.

Ci sono corrotti ovunque volgiate lo sguardo. La situazione è disperata”. Questa la conclusione del suo post, pubblicato lo stesso 16 ottobre, poco prima di uscire dalla casa del vento per l’ultima volta.

Ma chi era Daphne Caruana Galizia e perché è stata uccisa?

Caruana Galizia era nota soprattutto per il blog “Running Commentary”: in una terra abitata da meno di 450 mila anime, riceveva 400 mila visite al giorno. Il blog, tenuto in lingua inglese e completamente gratuito, era un mezzo efficace per denunciare la corruzione di Malta e il suo familismo amorale, la propensione nell’isola a far soccombere l’interesse collettivo e dello Stato davanti alla centralità della famiglia e dei legami di sangue.

Per Caruana Galizia, invece, chi deteneva il potere sarebbe dovuto essere sottoposto a un controllo di responsabilità (sia nella sfera pubblica sia in quella privata) e subire conseguenze nel caso avesse esercitato tale potere per il proprio tornaconto.

Galizia esercitava su sé stessa quella responsabilità. Nonostante da giovane avesse nutrito la speranza di andarsene e avesse incoraggiato i figli a fare lo stesso, era rimasta per continuare il lavoro di denuncia.

La sua non fu una lotta contro il PL (partito laburista), nei cui confronti era estremamente critica, a favore del PN (partito nazionalista).

Fu una lotta per garantire lo stato di diritto.

Secondo una relazione del Consiglio d’Europa del 2019 sulle carenze dello stato di diritto a Malta, i giudici vengono nominati in base alla fede politica (“situazione incompatibile con l’indipendenza della magistratura”), generando un “clima di impunità”.

Ed è in questo clima che vengono presi di mira i giornalisti.

I dati del CPJ (Committee to Protect Journalists) rivelano che negli ultimi 25 anni – dal 1992 al 2017 – circa due terzi dei giornalisti uccisi si occupavano di politica e corruzione. Non li ha uccisi la guerra, bensì lo Stato.

A Matthew Caruana Galizia, figlio di Daphne Caruana Galizia, anche lui giornalista e vincitore del Pulitzer insieme all’ICIJ per l’inchiesta sui Panama Papers, un parlamentare laburista chiese: “Come potete dire che a Malta non c’è libertà di espressione quando vostra madre era libera di scrivere tutto quello che voleva?

Malta attualmente si colloca all’81° posto dell’Indice della libertà di stampa compilato da RSF (Reporter Senza Frontiere), tra Hong Kong e El Salvador; l’Italia è al 41°.

Daphne Caruana Galizia non era una “penna avvelenata”. Era una penna che lo Stato avrebbe dovuto salvaguardare, innanzitutto da chi aveva provato a metterla a tacere aggredendola dal punto di vista finanziario e legale. Certe cause per diffamazione le sono state notificate dopo la morte.

Alcune delle inchieste più famose:

1.      I panama papers

Nell’aprile 2016 venne resa pubblica una delle più grandi fughe di notizie della storia – 11,5 milioni di documenti prelevati dallo studio legale Mossack Fonseca – da cui risultò una fitta rete di società off-shore creata a fini di evasione, frode, riciclaggio di denaro.

Galizia ritrovò due nomi a lei familiari, Keith Schembri (allora Capo del Gabinetto) e Konrad Mizzi (allora Ministro dell’energia e della sanità), in qualità di beneficiari di due società off-shore panamensi: rispettivamente la Tillgate e la Hearnville.

Fu uno scandalo, ma non al punto da mettere in pericolo la stabilità del governo.

C’era però una terza società, la Egrant Inc. Chi ne era beneficiario?

Caruana Galizia fece tremare i palazzi del potere.

2.      La Pilatus Bank

Chi era quindi il beneficiario finale della Egrant Inc.?

Caruana Galizia lo rivelò in una serie di post pubblicati a singhiozzo nell’aprile 2017: a detta sua, nella cucina della filiale maltese della Pilatus Bank, c’erano dei documenti segreti da cui sarebbe risultato il nome di Michelle Muscat, moglie dell’allora Primo ministro Joseph Muscat.

Caruana Galizia scrisse inoltre di un trasferimento di un milione di dollari alla Egrant Inc., effettuato da una società posseduta da una delle figlie del Presidente dell’Azerbaijan, paese al 129° posto secondo l’Indice di percezione della corruzione di Transparency International (Italia e Malta si contendono il 52°, fanalino di coda dell’UE).

Seguirono le smentite, ma la notte stessa il presidente della Pilatus e la risk manager furono filmati mentre portavano via due valigie dagli uffici della banca, caricate poi su un aereo diretto a Baku, Azerbaijan.

3.      La vendita della cittadinanza maltese.

Oltre che di ius sanguinis e ius soli, oggi si può parlare di ius pecuniae: la cittadinanza si può comprare, e non a poco. Diventare cittadini di Saint Kitts e Nevis, ad esempio, costa 250 mila dollari. Il passaporto maltese costa non meno di 650 mila euro.

Tra il 2014 e il 2017 commerciare sovranità ha prodotto oltre 850 milioni di euro, l’economia maltese ne è risultata “dopata”, e le elezioni anticipate del 2017 sono servite a raccogliere tutto il consenso generato da quel “benessere”, nonostante nel frattempo i Panama Papers avessero coinvolto più di un esponente del governo.

L’ex Primo ministro Joseph Muscat, – dimessosi nell’ottobre 2020 dopo le proteste generate dalle sospette interferenze nelle indagini sull’assassinio di Galizia – in un’intervista concessa a John Sweeney per la BBC, negò di vendere passaporti: quello di Malta è un Programma per l’investimento privato, più trasparente di quello di altri paesi, per cui è possibile investire nell’isola e, in cambio, ottenere la cittadinanza; avere un milione di euro aiuta, ma non garantisce l’accesso automatico al Programma.

La raccolta e l’esame delle candidature è affidato, infatti, in concessione esclusiva alla Henley & Partners, società posseduta e amministrata dal “Re dei Passaporti”, Christian Kälin (secondo cui “La cittadinanza è un’ingiustizia di per sé”). Il governo maltese effettua poi un controllo sui requisiti formali e finanziari del candidato.

A diventare cittadini maltesi per ora sono stati potenti oligarchi russi, signori del petrolio, politici di paesi che negano le libertà più elementari…

La vendita di passaporti provoca danni enormi. Malta non è Saint Kitts e Nevis. Siamo uno stato dell’Unione Europea”, scriveva Caruana Galizia.

Vendere la cittadinanza maltese significa di fatto (s)vendere la cittadinanza UE, e quindi il diritto alla libera circolazione di merci, persone e servizi all’interno di tutto il territorio comunitario.

La Commissione europea non poté impedire l’adozione del Programma a Malta, perché le politiche di immigrazione sono una materia di competenza esclusiva degli Stati membri (l’UE non può mettere becco su chi diventa cittadino), ma riuscì ad imporre alcune blande condizioni:

  1. obbligo di residenza almeno per un anno prima di presentare la domanda per la cittadinanza
  2. obbligo di pubblicare periodicamente la lista dei nuovi cittadini.

Obblighi facilmente aggirabili:

  1. Grazie a un pasticcio amministrativo, venne reso noto che alcuni multimiliardari avessero la residenza in sottoscala e garage.
  2. La lista viene pubblicata con cadenza biennale, ma per renderla meno chiara si tiene un ordine alfabetico per nome di battesimo (non per cognome) e l’elenco contiene tutte le persone che abbiano ottenuto la cittadinanza (ad es. sposandosi con unə maltese).

I controlli operati dallo Stato sono troppo superficiali e il tutto si traduce in una colossale frode.

Per l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) il sistema escogitato dal Re dei passaporti è una “porta di servizio per il riciclaggio di denaro sporco”. E ad aprire la porta è stato il governo guidato da Joseph Muscat nel 2013.

Paradossalmente, l’uomo volto del “No” all’ingresso di Malta nell’UE – Caruana Galizia era una fiera sostenitrice del “Sì”, nella speranza che così Malta sarebbe uscita dal suo “isolazionismo passatista e reazionario” – traeva vantaggio dalla cittadinanza UE.

Non solo fango

Sebbene fosse brava a scavare, da buona archeologa, Caruana Galizia scriveva di tutto.

Si occupò prima dell’ondata xenofoba nel 2003 (“Per testare la sincerità del liberalismo progressista di cui si vanta un politico (o chiunque altro), tutto quello che dovete fare è mettergli davanti un immigrato. Funziona che è una meraviglia”). Successivamente si occupò anche del cambio dell’opinione pubblica nel 2015, quando venne pubblicata la foto di Alan Kurdi, il bambino siriano trovato riverso su una spiaggia, simbolo della crisi europea dei migranti.

Raccontò la cultura patriarcale e misogina intrinseca di Malta, in virtù della quale “le donne che non ci piacciono sono streghe e quelle che non stanno nei ranghi sono pazze”. Scrisse dell’attentato a Charlie Hebdo, dell’assassinio di giornaliste come Politkovskaja (tirando in ballo Putin): a ventisei anni disse che “la paura è il più grande nemico della libertà di espressione e del dialogo” ed è per questo che firmava i suoi articoli anche quando a Malta erano pochi i giornalisti a farlo. Tra gli anni ’70 e ’80, l’isola visse un periodo di violento antagonismo politico: nel 1979 furono dati alle fiamme una tipografia e gli uffici di due giornali.

Daphne Caruana Galizia amava però la leggerezza e fu direttrice della rivista mensile Taste & Flair. Qui si trovavano articoli su cultura, arte, architettura, design, cibo, giardinaggio. Scriveva anche la bellezza, non solo di ciò che andava condannato.

Nota: tutte le persone citate si dichiarano innocenti o estranee ai fatti.

FONTI

·        “L’isola assassina: la sfida di Daphne al cuore corrotto dell’Europa”, Carlo Bonini, Feltrinelli editore (2018)

·        “Daphne Caruana Galizia. Un omicidio di Stato”, Bonini, Delia, Sweeney, Mondadori (2020)

·        “Di’ la verità anche se la tua voce trema”, Daphne Caruana Galizia, Bompiani (2019)

·        Ansa

·        Articoli di Francesco Battistini, Il corriere della Sera

·        “Justice on trial: three years after murder of Daphne Caruana Galizia”, The Guardian

·        “The murder of journalist Daphne Caruana Galizia: Malta’s shame?”, BBC Newsnight

·        “Cittadinanza a peso d’oro”, Internazionale n°1295

·        rsf.org/en/ranking

·        Transparency.org

Articolo di Ombretta Dongu

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Revisionato da Guia Bonariva

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