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Vent’anni dopo il G8 di Genova

Dal 19 al 21 Luglio 2001 si tenne a Genova la riunione del G8 (cioè si riunirono i capi di governo degli 8 maggiori Paesi industrializzati: Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti e i rappresentanti dell’Unione Europea).

I rappresentanti degli Stati in questione avevano il compito di discutere di politica internazionale per definire i futuri assetti del mondo, in un’ottica di visione e previsione rispetto agli anni a venire.

A indicare Genova come sede della per il G8 2001 fu Massimo D’Alema, Presidente del Consiglio dal 1998 al 2000, ma fu poi Silvio Berlusconi, divenuto Presidente del Consiglio l’11 Giugno 2001, a gestire la sicurezza dell’evento e l’arrivo dei leader internazionali. 

Fin da subito, in realtà, la scelta di fare il G8 a Genova suscitò non poche polemiche. Era noto che decine di migliaia di manifestanti si sarebbero dovutз recare al G8, ma la città di Genova, per la sua conformazione e struttura, non si prestava ad accogliere un tale numero di manifestanti nè un evento di tale portata numerica. Fin da subito, molte persone parlavano di un “disastro annunciato”.

Così, prima dell’evento, Berlusconi, accompagnato dal Ministro dell’Interno, fece più sopralluoghi in città, Ma si occupò principalmente dell’aspetto estetico: una cosa passata alla storia (in senso negativo) fu, ad esempio, che venissero tolti i panni stesi alle finestre, e fece ridipingere la facciata di un edificio di fronte al Palazzo Ducale, dove si sarebbero tenuti i vertici. Niente doveva essere fuori posto in quella che venne chiamata la “zona rossa” di Genova, all’interno della quale si sarebbero svolti gli eventi del G8. La zona rossa doveva essere un ambiente sicuro, bello e senza rischi per i leader giunti in Italia, secondo questa logica.  

L’obiettivo chiave dichiarato del summit degli otto leader era “sconfiggere la povertà”. Individuare misure atte a sostenere l’economia dei Paesi più fragili attraverso una strategia integrata, soprattutto per il commercio e per investimenti in campo sociale. Il tema chiave era il tema della globalizzazione, che come abbiamo ampiamente trattato negli scorsi articoli, porta disuguaglianze e un aumento della povertà nel mondo. 

Il 19 luglio iniziano le manifestazioni e per le strade di Genova sono decine di migliaia le persone che protestano pacificamente.

Il 20 luglio avviene qualcosa e c’è un bel cambiamento netto. Mentre all’interno del Palazzo Ducale i capi di Stato discutevano questi obiettivi, fuori, per le strade di Genova e soprattutto all’interno della scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, il livello di violenza cresceva di ora in ora. Molte delle persone presenti dichiarano che in quei tre giorni lo stato di diritto venne meno in molte delle situazioni che si crearono. Amnesty International sostenne in seguito che quella che ebbe luogo a Genova in quei giorni fu la «più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale».

Il movimento no global

La stampa internazionale si accorse tra fine novembre e inizio dicembre del 1999 dell’esistenza di un movimento internazionale formato da centinaia di organizzazioni e associazioni diverse che si battevano contro le politiche economiche e sociali occidentali considerate liberiste, responsabili di ingiustizie e insopportabili diseguaglianze tra Nord e Sud del mondo.

In Italia il movimento no global diede vita al Genoa Social Forum, che si costituì proprio per preparare la piattaforma di rivendicazioni e richieste in vista del G8 del 2001.

Aderirono partiti come Rifondazione comunista, movimenti cristiani, sindacati come la Fiom e i Cobas, insieme di ONG che operano per i Paesi in via di sviluppo come WWF e Legambiente.

Il G8 fu caricato di molte aspettative e significati, da parte del movimento no global italiano, e l’attenzione e gli slogan che si accumularono nelle settimane precedenti contribuirono a creare un clima di fortissima tensione.

Come abbiamo detto poco fa “L’obiettivo chiave dichiarato del summit degli otto leader era “sconfiggere la povertà”. Individuare misure atte a sostenere l’economia dei Paesi più fragili attraverso una strategia integrata, soprattutto per il commercio e per investimenti in campo sociale. Il tema chiave era il tema della globalizzazione, che come abbiamo ampiamente trattato negli scorsi articoli, porta disuguaglianze e un aumento della povertà nel mondo.” Per questa ragione movimenti internazionali composti da ONG, sindacati e associazioni decisero di manifestare contro la globalizzazione per chiedere la remissione del debito dei Paesi poveri, e controlli sull’estremo potere socio-economico e ambientale delle multinazionali. 

Manifestanti, Black Bloc e forze di polizia

Prima dei giorni del G8 i servizi di intelligence italiani fornirono al governo e ai vertici delle Forze dell’Ordine relazioni dettagliate su che cosa sarebbe potuto succedere. Il documento preparato da intelligence diffuse ansia, preoccupazione e disorientamento. Nel documento venne scritto che lз manifestanti erano prontз a mettere in atto comportamenti violenti come ad esempio il lancio di copertoni incendiati verso gli schieramenti delle forze dell’ordine.  Non accadde nulla di ciò che era stato predetto ma il documento che circolò tra le forze dell’ordine agitò gli animi.

Per proteggere il G8 fu allestita quella che fu chiamata “zona rossa”, vennero installate grate che crearono muri lunghi chilometri e aз residenti venne consegnato un pass per entrare ed uscire. 

Furono schierate 20.000 unità appartenenti alle forze dell’ordine. Alla maggior parte furono fornite delle nuove tute con protezioni.

Il gruppo considerato più pericoloso fu quello dei Black Bloc rappresentatз da persone principalmente anarchiche provenienti dai principali Paesi Europei. Nel documento preparato dai servizi, lз manifestantз di Genova vennero divisз in quattro potenziali blocchi: il blocco rosa, composto dalle associazioni di volontariato, dalle ong, dai partiti tradizionali; il blocco giallo, costituito soprattutto dai centri sociali; il blocco blu, composto dai centri sociali più combattivi e il blocco nero, quello considerato violento, dove all’interno c’erano anche lз Black Bloc. Questo gruppo il 20 luglio iniziò a manifestare tramite azioni di vandalismo, azioni violente. Le persone erano però irriconoscibili: vestite di nero, mascherate, con fumogeni e armi pericolose. Con azioni di “guerriglia urbana” sfasciano, devastano, mandano a fuoco oggetti, automobili e luoghi, spaccano vetri etc, e poi fuggono.

Al termine dei giorni del G8, inutile dirvelo: non risultò arrestatә nessunə del Black Bloc.

Anche se i Black Bloc non avevano nulla a che fare con le organizzazioni giunte a Genova per manifestare pacificamente, le forze di polizia, giungendo sul posto sempre dopo le devastazioni, caricavano le armi e aggredivano indistintamente e sempre con maggiore violenza tuttз coloro che si trovavano sul posto, anche se non responsabili delle devastazioni.

Le immagini riprese da centinaia di videocamere mostrano le forze dell’ordine che manganellano giornalistз, espertз, attivistз, ragazzз innocenti e disarmatз a terra che implorano pietà, immersз nei lacrimogeni senza fine. 

Il momento clou: Carlo Giuliani e la sua morte 

Nel pomeriggio del 20 luglio, in una via della città di Genova, le forze dell’ordine si trovarono davanti ai diversi gruppi di manifestantз e lanciarono decine di lacrimogeni verso il corteo con l’intento di dividerlз (da notare: lз manifestantз stavano esercitando il loro sacrosanto e libero diritto di manifestare sancito dalla Costituzione, senza attuare violenza). Successivamente lз militari caricarono in massa facendo quello che in qualsiasi manuale dell’ordine pubblico viene assolutamente sconsigliato: attaccare un corteo senza lasciare una via d’uscita.

Il capitano che aveva guidato la carica spiegò poi di averlo fatto per creare una via di passaggio, ma ammise anche di non conoscere la topografia della zona e di non sapere quindi che non stava lasciando vie di fuga aз manifestantз. 

Lo scontro andò avanti per ore, molte testimonianze raccontano di agenti con la pistola in mano, lз giornalistз riferiscono di colpi esplosi verso l’alto, e molto altro ancora.

Lз manifestanti che tentavano di fuggire venivano circondatз e picchiatз. 

Lз militari si spostarono con due camionette verso altre zone delle città, una di queste rimase incastrata in un cassonetto dei rifiuti e venne circondata da un gruppo di manifestanti. (Perchè due mezzi si spostarono insieme verso la stessa zona, non è mai stato chiarito).

Un manifestante con un asse di legno colpì l’interno della camionetta, un altro teneva un estintore in mano. A quel punto uno dei carabinieri estrasse la pistola e sparò due colpi. Uno dei due ragazzi si chiamava Carlo

Carlo Giuliani venne colpito allo zigomo sinistro. 

A quel punto la camionetta riuscì a muoversi passando due volte sopra il corpo di Carlo steso a terra, prima in retromarcia poi avanzando. 

Carlo Giuliani morì con uno sparo in faccia e poi calpestato da una camionetta delle forze dell’ordine dello stato italiano. Carlo Giuliani era lì per il suo futuro, e invece, ha visto la sua morte.

Carlo Giuliani era di Roma e aveva 23 anni. La notizia della sua morte fu diffusa intorno alle ore 18.00 e fu identificato alle ore 21.00.

Negli atti del processo che seguì divenne tristemente famosa una comunicazione tra due funzionari di polizia, in cui si sentiva una voce di donna dire al collega uomo: «uno a zero per noi».

Sabato 21 Luglio, la scuola Diaz 

Alle 19.00 del 21 Luglio, dopo un’altra giornata di attacchi e feritз che riempivano gli ospedali, in Questura ci fu una riunione ma lз fermatз furono pochissimз, nessunə tra lз Black Bloc.

La sera del 21 luglio le manifestazioni finiscono. Alcunз manifestanti prontз per ripartire verso le loro città l’indomani decidono di dormire nella scuola Diaz, concessa dal Comune di Genova come sede “media center” del Genova Social Forum. 

Tre minuti prima di mezzanotte un blindato sfondò il cancello del comprensorio Diaz, nel quartiere Albaro, costituito da due scuole. Centinaia di poliziottз in assetto antisommossa irrompono nella scuola. 

Dentro dormivano ragazzз, soprattutto stranierз. La violenza della polizia si scatenò senza ragione e senza freni. All’irruzione parteciparono uomini in borghese con la pettorina, che furono tra i più violenti: avevano la bandana sul volto, e nessuno seppe mai a che reparto appartenevano. 

Fu un vero e proprio massacro: dalla Diaz uscirono 82 feritз con teste, gambe e braccia rotte. Altre 3 persone erano ferite gravemente, una era in coma.

Lз manifestanti erano disarmatз, non stavano facendo alcunchè per cui “meritarsi” un trattamento simile. Alla vista della polizia hanno alzato le mani, hanno chiesto “pace”, ma non è servito a nulla. Chiunque è stato indistintamente massacrato in una spedizione punitiva tramutata da “perquisizione”. A decine vengono portatз via in ambulanza. Alcunз di loro vengono sottopostз a sevizie, minacce di tipo politico, sessuale e umiliazioni di ogni tipo. 

Alla conferenza stampa, lз dirigenti della polizia dichiararono che all’interno della Diaz erano presenti solo Black Bloc e che furono trovate diverse armi ma tutto venne smentito durante il processo da inchieste, indagini e testimonianze. In conferenza stampa la polizia mostra armi e bottiglie molotow trovate “durante la perquisizione”. Dalle indagini successive e dai processi si scoprirà che a portarle nella scuola non erano stati lз manifestanti, ma lз stessз poliziottз.

L’esito dei processi 

  • Per la morte di Carlo Giuliani il carabiniere che sparò fu indagato per omicidio ma il Gip lo presciolse per legittima difesa e uso legittimo delle armi.
  • Vennero presentate circa 60 denunce per lesioni subite e il ministero dovette risarcire moltз manifestanti perchè venne riconosciuto l’uso illegittimo della violenza.
  • Tra lз manifestanti ci furono all’incirca 25 condanne per danneggiamento, lesioni e devastazioni.
  • Per i fatti della Diaz ci furono 29 imputatз tra dirigenti e funzionari di polizia: in primo grado 16 furono assoltз e 13 condannatз per falso ideologico, lesioni, lesioni aggravate in concorso, introduzione delle bombe molotov nella scuola e violazione della legge sulle armi.

Insomma, grazie alla prescrizione e all’assenza in Italia del reato di tortura praticamente tuttз lз indagati se la caveranno senza alcuna condanna.

Pensate, però, che per la Corte di Cassazione, in quella Caserma ci fu un “accantonamento dei principi cardine dello Stato di diritto”.

Apriamo gli occhi e cerchiamo di capire che queste cose accadono qui, nelle nostre città: a Genova 20 anni fa, a Santa Maria Capua Vetere oggi.

Studiamo, impariamo, cerchiamo di essere deз cittadinз informatз.

Introduciamo in Italia il reato di tortura e simboli identificativi nelle divise delle forze dell’ordine.

Sul serio, ce n’è bisogno.

Cogliamo questa occasione, inoltre, anche per proporvi, qui su Eduxo, una rassegna di film tutti italiani, per far sentire la nostra voce, per non dimenticare che gli abusi di potere non sono relegati solamente oltreoceano, che la lotta per la democrazia non ha mai fine, e soprattutto per non lasciarci vincere dalla pigrizia nel leggere i fatti usando solo i toni del bianco e del nero. 

Diaz – Don’t Clean Up This Blood

Diaz, come le scuole Diaz-Pertini e Pascoli, una delle parentesi più buie di quel luglio 2001 tra le vie di Genova. Tutto si consuma nella notte del 21 luglio, quando la polizia fa irruzione nella scuola dove era stato predisposto un dormitorio per 90 attivistз e dove le strade deз eterogeneз protagonistз della narrazione si incontrano. A nulla servono le mani sollevate in segno di resa. 

Un film faticoso, non solo da assimilare da parte di chi lo guarda, ma anche per il regista, Daniele Vicari, che non ha avuto vita facile nel trovare finanziamenti per realizzarlo.  

Sulla mia pelle

Tuttз ormai conosciamo le vicende che ruotano attorno al caso di Stefano Cucchi (interpretato da Alessandro Borghi), ma questo film offre una prospettiva potentissima, quella umana. Mostra la sofferenza silenziosa consumata tra le mura di un carcere, la scelta di rifiutare le cure, la paura. La battaglia di una famiglia, e la sua impotenza.

La pellicola, presentata alla 75esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2018, ha ricevuto 7 minuti di applausi. Non può lasciare indifferenti.

ACAB – All cops are bastards

ACAB – All cops are bastards esce nelle sale italiane nel 2012, dalla regia di Stefano Sollima. La pellicola è tratta dal libro omonimo di Carlo Bonini, ispirato a conversazioni reali presenti su alcuni forum online della polizia di stato.

Le vicende ruotano attorno ad un gruppo di celerinз, agenti antisommossa, che vivono immersi in un clima di violenza, a volte come bersagli, a volte come carnefici. 

Favino, Giallini, Nigro e Diele, con una recitazione inattaccabile, ci mostrano un mondo lacerato dalla guerriglia e dall’aggressività, a cui si sceglie di rispondere anche con il sangue. 

Dove si può tracciare il limite della legalità?

Fonti: 

https://www.ilpost.it/2021/07/19/g8-genova-venti-anni-dopo-/

https://www.ilsecoloxix.it/italia/2021/07/17/news/devastazioni-cariche-e-sangue-il-g8-e-il-demone-del-20-luglio-2001-1.40508671

https://www.la7.it/coffee-break/video/g8-genova-2001-vittorio-agnoletto-i-contenuti-della-protesta-sono-tutti-ancora-li-19-07-2021-390858

Stories di Cathy La Torre (@avvocathy)

Dedicato a delle persone che fanno dei diritti il loro pane quotidiano: Cathy La Torre, Elly Schlein, Laura Boldrini, Lia Quartapelle, Imen Jane, Ethan Caspani, Muriel De Gennaro.

Per chi, come noi, si impegna per fare informazione senza censure sul tema dei diritti: 

No Justice No Peace Italy, tlon, will.ita, Il Post, Internazionale.

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