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Comunicare: una grande responsabilità

Comunicare è qualcosa di quotidiano, che coinvolge tuttз e che facciamo con estrema semplicità: ma il linguaggio è davvero così semplice come ci appare? La risposta è chiaramente no, infatti esistono molteplici discipline che lo studiano. In questo breve articolo vogliamo dare una panoramica delle implicazioni sociologiche e psicologiche del linguaggio, con un particolare focus sulla parola Queer.

LE IMPLICAZIONI SOCIALI DEGLI SLURS:

Nel linguaggio comune a tuttз capita di utilizzare delle imprecazioni, senza pensare che queste hanno un’origine e una conseguenza sulla società e le persone più profonda di quanto si possa immaginare. Alcuni insulti, in particolare, rientrano in una categoria ben precisa denominata slurs: sono termini dispregiativi che prendono di mira individui e gruppi di individui sulla base della razza, nazionalità, religione, genere o orientamento sessuale. (C. Bianchi, 2014). 

Tutte le parole hanno un significato denotativo (quello da dizionario, indica l’oggetto) e uno connotativo (quello metaforico, ciò a cui rimanda quella parola). Il secondo può variare nel tempo e una delle pratiche attraverso cui si cambia il significato agli slurs è la rivendicazione. Bianca Cepollaro e Dan López de Sa (2022) la definiscono come “[…] uso non denigratorio dell’epiteto che può aumentare il cameratismo, esprimere solidarietà e contribuire a sovvertire le strutture discriminatorie”. Un esempio efficace è proprio la parola Queer: nasce in Inghilterra e già nel XIX secolo e viene utilizzata con accezione negativa per indicare “le persone strane”. Nel corso dello scorso secolo assume una connotazione più specifica con riferimento alle persone gay e nel passaggio d’uso all’italiano e altre lingue perde l’accezione negativa, trasformandosi in un termine-ombrello per indicare tutte le persone con un’identità di genere o un orientamento sessuale non etero-cis. Quindi, il processo di rivendicazione prevede un’inversione dell’accezione della parola all’interno del gruppo, seguito da un auto-etichettamento delle persone del gruppo stesso con la parola in questione che diventa così un’etichetta identitaria. 

Tra gli studiosi c’è un dibattito aperto che cerca di rispondere ad alcune domande: il significato letterale degli epiteti può essere modificato utilizzando la reclamazione? Qual è il rapporto tra usi denigratori e riappropriativi? Quali sono le condizioni per far sì che uno slur possa essere reclamato?

Mihaela Popa-Wyatt, ricercatrice nel dipartimento di Filosofia alla University of Manchester, fa una premessa molto interessante al suo studio, che rende particolarmente chiaro il potere che hanno le parole. Popa-Wyatt parla della rivendicazione come un atto di protesta socio-politica:l’auto-referenziazione con l’appellativo offensivo in questione crea un nuovo atto linguistico contro l’utilizzo degli slurs come strumenti di prevaricazione da parte del gruppo dominante. In questo modo la parola perde il suo potere e non può più essere utilizzata come arma linguistica.

Claudia Bianchi, Professoressa di Filosofia del Linguaggio, sostiene che gli usi riappropriati sono “ecoici”: i gruppi interni (ovvero le persone oggetto dello slur) fanno eco a usi dispregiativi in un contesto (il gruppo stesso) che rende manifesta la dissociazione dal contenuto offensivo Viene lasciata  aperta la possibilità a persone non appartenenti al gruppo oggetto della discriminazione di utilizzare il termine unicamente in contesti altamente controllati e dove sia esplicita la dissociazione dal valore denigratorio del termine.

Secondo l’autrice l’uso degli insulti in contesti di riappropriazione consente ai gruppi di:

  • creare solidarietà all’interno del gruppo oggetto allo slur;
  • evidenziare la funzione ed eliminare uno strumento di discriminazione, neutralizzandone il potere offensivo e ponendosi in una posizione di critica rispetto all’utilizzo “normale” (dispregiativo) dell’insulto;
  • sovvertire l’accezione della parola: “laddove le parole hanno un nuovo uso, i vecchi significati connotativi non vengono spazzati via, ma vengono sovvertiti’’ (C. Bianchi, 2014).

Un terzo testo interessante è quello redatto da Bianca Cepollaro e Dan Lòpez De Sa, che sottolinea come le condizioni per la riappropriazione degli slurs siano più complesse di quelle generalmente prese in esame (ovvero la rivendicazione del termine all’interno del gruppo colpito), quindi si rischia di analizzare il fenomeno in modo superficiale/parziale. È quindi necessario analizzare anche la rivendicazione esercitata dalle persone non appartenenti al gruppo target per poter fare un resoconto sofisticato e per poter sviluppare una teoria autorevole.

Se vi interessa approfondire questi studi, potete trovarli citati nelle fonti, sono tutti accessibili gratuitamente su internet!

LE CONSEGUENZE PSICOLOGICHE DEGLI SLURS (Marta Finazzi)

In numerose ricerche passate si è evidenziato come le microagressioni possano colpire soggetti di qualsiasi minoranza, anche i membri della comunità LGBTQAI+. Esse infatti possono riferirsi sia sull’orientamento sessuale che all’incongruenza tra identità di genere e sesso biologico, portando i membri della comunità a subire una serie di conseguenze sul piano psicologico. Se infatti a livello sociale si è cercato di diminuire la stigmatizzazione dell’omosessualità con la sua rimozione dal DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) nel 1973, le pratiche di discriminazione, eterosessimo e genderismo nei confronti della comunità sono rimaste, divenendo nel corso degli anni più subdole e velate.Quindi, la marginalizzazione dei membri della comunità LGBTQAI+ non mai veramente cessata, basta pensare a quanti diritti civili le sono preclusi.A causa di tutto ciò, è possibile che vengano vissute esperienze di stress sociale, che possono portare alla possibilità di vivere una diminuzione della qualità della salute mentale rispetto alle persone cisgender ed eterosessuali. È stato osservato, ad esempio, che l’esposizione a numerose esperienze discriminatorie può colpire direttamente il nostro equilibrio omeostatico, in particolar modo il sistema immunitario e cardiocircolatorio. Non è tutto qui: a esso si aggiungono anche le conseguenze a livello mentale, cognitivo e l’adozione di comportamenti rischiosi come alcolismo e tabagismo.

Secondo una ricerca svolta nel 2010 dallo psicologo Kevin Nadal e colleghi intitolata Sexual orientation and transgender microaggressions: Implications for mental health and counseling, vi sono varie categorie di microaggressioni che possono essere vissute dai membri della comunità LGBTQAI+:

  1. L’utilizzo di termini eterosessisti e transfobici;
  2. L’adozione di comportamenti tipicamente eteronormativi o legati alla conformazione di genere;
  3. Presupporre che l’esperienza delle persone LGBTQAI+ sia universale e univoca;
  4. Esotizzazione, con  conseguente deumanizzazione e oggettificazione;
  5. Disapprovazione dell’esperienza vissuta dalle persone della comunità;
  6. Presupporre la presenza di patologie sessuali o “anormalità” correlate alla sfera sessuale;
  7. Negazione dell’eterosessimo e della transfobia presente a livello sia sociale che personale.

Sono stati anche analizzati i meccanismi di coping (cioè di strategie utilizzate dalle persone nell’affrontare situazioni sia nuove che avverse) che i soggetti queer adottano in queste situazioni di aggressione: 

  1. Reazioni comportamentali (passività, confronto diretto);
  2. Reazioni cognitive (conformarsi alle aspettative sociali, l’accettazione delle microaggressioni, sentimento di resilienza);
  3. Reazioni emotive, che comprendono l’ampio spettro di reazioni di emozioni vissute durante o dopo l’aggressione.

Possiamo quindi comprendere quanto sia importante il ruolo delle istituzioni, del sistema scolastico e degli altri organismi per prevenire tali situazioni, e ciò può avvenire tramite il riconoscimento e la validazione di queste esperienze di stress vissute dalle persone della comunità LGBTQAI+, specialmente nei contesti dove non vi sono politiche atte alla protezione e al riconoscimento dei loro diritti.

FONTI 

Claudia Bianchi, (2014). Slurs and appropriation: An echoic account. Journal of Pragmatics, Elsevier Science.

Mihaela Popa-Wyatt, (2020). Reclamation: Taking Back Control of Words. Grazer Philosophische Studien 97(1), pages 159-176, Leibniz-Zentrum Allgemeine Sprachwissenschaft (ZAS), Berlin

Bianca Cepollaro e Dan López de Sa (2022). Who Reclaims Slurs?. Pacific Philosophical Quarterly, Volume103, pages 606-619.

Burgess, D., Lee, R., Tran, A., & Van Ryn, M. (2007). Effects of perceived discrimination on mental health and mental health services utilization among gay, lesbian, bisexual and transgender persons. Journal of LGBT health research, 3(4), 1-14.

Nadal, K. L. (2011). The Racial and Ethnic Microaggressions Scale (REMS): construction, reliability, and validity. Journal of counseling psychology, 58(4), 470.

Nadal, K. L., Issa, M. A., Leon, J., Meterko, V., Wideman, M., & Wong, Y. (2011). Sexual orientation microaggressions: “Death by a thousand cuts” for lesbian, gay, and bisexual youth. Journal of LGBT Youth, 8(3), 234-259.

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